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Città Metropolitana, Massimiliano Borelli: "Impareremo a pensare da metropoli europea"

Ieri si è tenuto il primo consiglio della Città Metropolitana. Massimiliano Borelli eletto consigliere metropolitano e presidente del Consiglio Comunale di Albano ha illustrato le future azioni del nuovo ente amministrativo

Nella giornata di ieri il sindaco di Roma Ignazio Marino ha aperto la prima seduta del consiglio della Città Metropolitana segnando l'inizio di questa nuova esperienza amministrativa di area vasta. Massimiliano Borelli, presidente del Consiglio Comunale di Albano, è trai consiglieri metropolitani eletti provenienti dai Castelli Romani. A lui abbiamo chiesto obiettivi e prospettive di questo nuovo modello di gestione amministrative del territorio.

Le elezioni del consiglio metropolitano sono una novità nel panorama elettorale italiano in quanto sono state le prime elezioni di secondo livello. Da candidato prima e da eletto poi come giudica questo metodo di elezione di un organo assembleare di un ente amministrativo?

Le elezioni del consiglio metropolitano sono state nuove e anomale in virtù delle forme di partecipazione democratiche a cui finora eravamo abituati, anomale perché per la prima volta non sono stati i cittadini a scegliere ed eleggere i rappresentanti di un ente amministrativo  costituzionalmente riconosciuto, bensì sono stati soltanto gli amministratori locali consiglieri comunali e sindaci di 121 comuni nel caso specifico della città metropolitana di Roma.

Io non valuto negativamente questo approccio alla democrazia perché risponde alle critiche sullo spreco  di denaro pubblico e sulle rendite dei politici: in questo caso il legislatore ha modificato l'impianto della città metropolitana e della provincia per eliminare gli sprechi dell'ennesima elezione, se ci ricordiamo bene si votava una volta ogni anno e mezzo in Italia tra elezioni comunali, provinciali, regionali, politiche ed europee. Dall'altro lato si è eliminato quello che poteva essere considerato un parcheggio per una classe politica che voleva rigenerarsi.

Cosa cambia a suo avviso nella gestione del territorio?

L'amministrazione di una provincia o di una città metropolitana  si configura sempre come ente di prossimità rispetto a una Regione che è sempre più distante rispetto alle esigenze di cittadini e amministratori locali che hanno bisogno di punti di riferimento  più vicini per la gestione delle strade, delle scuole, dei distretti sanitari.

Adesso  a gestire questi aspetti non c'è più il politico di professione, ma colui che già conosce i problemi del territorio perché li vive sulla propria pelle come amministratore locale e non è minimamente stipendiato perché si presume che lo sia già. Anche se non è sempre così visto che nei comuni piccoli e anche in quelli superiori i 30mila abitanti il gettone di presenza non arriva a superare i 27 euro.

Sotto questo profilo amministrare la città metropolitana diventa passione mettendo a servizio della comunità la propria esperienza amministrativa. La città metropolitana è una sfida amministrativa sia per i suoi obiettivi e sia per la nuova concezione di ente di secondo livello.

C'è il concreto pericolo che la gestione dell'ex provincia sia schiacciato dalla Capitale con un visione romacentrica?

Il rischio c'è e va evitato. E' già visibile quanto Roma schiacci le realtà amministrative e territoriali  che la circondano, pensiamo ai flussi turistici, per le sue bellezze storiche e paesaggistiche di cui anche i paesi vicini godono. Da evitare è che ci sia anche un accentramento degli indirizzi amministrativi della città metropolitana.

Come area vasta dovremmo fissare dei punti di condivisione, i comuni di prima e seconda fasce non possono non partecipare ai tavoli di discussione di argomenti importanti come la gestione dei rifiuti, l'organizzazione dei campi rom, la regolamentazione della prostituzione, le politiche abitative in particolare la delocalizzazione degli abitanti di Roma verso i comuni confinanti che subiscono i flussi urbani anche in termini di servizi e infrastrutture provocando effetti negativi sulla qualità della vita.

Devono esserci tavoli di concertazione e livelli integrati di servizi. Non sono pessimista da questo punto di vista e già nei Castelli Romani inizia a ragionarsi sulle unioni dei comuni, ragionando sul risparmio delle risorse economiche con la gestione integrata dei servizi, con maggiore efficienza ed efficacia del servizio stesso, per esempio del trasporto pubblico locale, i rifiuti, una risposta integrata dei servizi socio-sanitari o ancora la polizia locale. Una pianificazione nell'unione dei comuni potrebbe dare impulso a un rilancio turistico culturale dei territori.

In che modo si potrà avviare questa fase di collaborazione tra Roma e i comuni che la circondano?

Si potrebbe iniziare con un dialogo con i comuni confinanti di Roma Capitale su aree omogenee magari seguendo le direttrici delle grandi vie romane, l'Appia, la Prenestina, la Casilina, progettando in maniera condivisa l'espansione dei quartieri e delle infrastrutture. Non è più pensabile che entrare e uscire da Roma sia su livelli da "terzo mondo", basta lanciare uno sguardo alle altre capitali europee dove ci sono servizi e infrastrutture che permettono ai propri cittadini  di spostarsi con facilità dal centro nevralgico della capitale verso la periferia anche per centinaia di chilometri, non si capisce perché a Roma ci si debba fermare al Grande Raccordo anulare e non pensare che la metropolitana possa raggiungere  anche i comuni periferici di una città metropolitana che devono ragionare in termini di grande metropoli e non come piccole entità che governano il solo campanile.

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